Poche tematiche come quella dell’agricoltura conservativa riescono a dividere gli animi degli agricoltori italiani. Leggendo articoli sulle Riviste o opinioni sul web, o semplicemente parlandone al bar, ci si imbatte nei sostenitori – convinti che sia la migliore tra le agrotecniche possibile, in grado di ridurre i costi mantenendo rese pari a quelle delle lavorazioni convenzionali – o nei detrattori, che invece la considerano controproducente e assolutamente non redditizia.

Insomma, sembra quasi una religione: da una parte i credenti, dall’altra gli atei. Ma le cose non sono mai o bianche o nere, perché anche in agricoltura esistono gli agnostici, persone cioè che si astengono da un giudizio poiché non ne hanno, o non ne possono avere, sufficiente conoscenza.

Bene, dal punto di vista tecnico è difficile dare consigli che vadano bene per tutti, la semina su sodo (o diretta) o le meno “radicali” minima lavorazione e strip tillage sono tecniche che vanno adattate a ogni singola realtà agricola e non è detto che quello che funziona per il mio vicino funzioni anche per me.

Detto questo però è innegabile che la riduzione delle lavorazioni al suolo rientri nell’interesse dell’Unione Europea, che quindi è più disposta a finanziarla: i pagamenti agro ambientali, nella scorsa programmazione rurale hanno erogato (sotto forma di Misura 214) più di 2,7 miliardi di euro a oltre 100.000 aziende italiane che hanno adottato agrotecniche mirate a una maggiore sostenibilità ambientale. Non parliamo di due campi, ma di circa 2,6 milioni di ettari e l’attuale programmazione (pac 2014-2020) ha ulteriormente alzato il livello.

Stiamo parlando della Misura 10, più precisamente dei “Paca” (Pagamenti agro climatico ambientali).

Atei, credenti o agnostici, interessa a tutti sapere che l’agricoltura conservativa è molto più presente nei vari Psr regionali (o meglio sarà, visto che i Psr in questione non vedranno la luce ancora per qualche mese) rispetto agli scorsi anni.

Il ragionamento dietro alla creazione dei Paca è mirato proprio a spingere gli agricoltori europei ad adottare agrotecniche più sostenibili a livello ambientali e la logica è giustamente quella del bastone e della carota: sono infatti pagamenti a superficie (euro/ha) che compensano gli agricoltori dei maggiori costi e dei mancati guadagni che possono derivare dall’adozione di metodi produttivi «più sostenibili».

Questa idea ha conquistato molte regioni italiane: 14 su 20, per la precisione.

Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Veneto e (anche se non confermato) Abruzzo hanno infatti attivato una serie disparata di tecniche di agricoltura conservativa come la totale non-lavorazione del suolo, avvicendamenti colturali e la copertura costante del terreno attraverso le colture principali, quelle dedicate alla copertura (cover crops) o i residui colturali appositamente lasciati in campo.

A prima vista quindi la semina su sodo la farebbe da padrone, ma secondo le prime indiscrezioni trapelate in questi mesi alcuni Psr prevederebbero un pagamento anche per le minime lavorazioni, sebbene nella maggioranza dei casi le due tecniche saranno differenziate soprattutto in termini di impegni e importi di pagamento.

Anche lo strip tillage è inserito in alcuni Psr (al 99% in Puglia e Toscana), ma per saperne di più bisogna aspettare la versione definitiva delle Misure.

I pagamenti varieranno ovviamente in base alla superficie destinata all’impegno, ma in linea di massima le cifre vanno dai 150 ai 350 euro/ha.

Ad oggi il problema principale è rappresentato dal rischio di “double funding” (a questo link il testo ufficiale in inglesehttp://ec.europa.eu/transparency/regexpert/index.cfm?do=groupDetail.groupDetailDoc&id=9848&no=2 ) e cioè evitare la possibilità di pagare due volte un soggetto che adotta un’agrotecnica prevista dalla Misura 10 che allo stesso tempo gli viene già pagata dal greening (vedi https://www.lg-italia.it/agriblog/greening-come-cambiera-lagricoltura-italiana/ ).

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