Dopo più di cinque mesi di discussioni, contrasti e proclami è stato raggiunto un accordo sul testo base della Politica agricola comune (pac) 2014-2020 per l’Italia, che vale 52 miliardi di euro.

Lo scorso 27 maggio infatti il Mipaaf ha riunito nel testo le modifiche proposte dalle Regioni, che hanno portato alla definizione dell’intesa complessiva sul nuovo sistema di pagamenti diretti.

Secondo il nostro Ministero per le politiche agricole le scelte sono state fatte, nonostante la riduzione delle risorse rispetto alla precedente programmazione 2007-2013, privilegiando un criterio di equità, rispettando l’equilibrio territoriale, sintetizzando le numerose istanze provenienti dai diversi settori e rafforzando gli ambiti strategici dell’agricoltura italiana.

Date le premesse è quasi ovvio aggiungere che l’impostazione della nuova pac ha diviso gli animi, ma partiamo subito con il punto principale: gli aiuti accoppiati.

Il nodo centrale degli aiuti accoppiati

L’accordo finale destina al sostegno accoppiato (art. 52, Reg. 1307/2013) un importo di 426,8 milioni di euro, distribuiti in 17 misure di sostegno. La zootecnia, da carne e da latte, si prende la maggior parte delle risorse: 210,5 milioni di euro, pari al 49,3%. I soldi sono ripartiti fra questi settori: vitelli/e nati da vacche da latte, vacche nutrici, bovini macellati 12­24 mesi, ovicaprini, bufalini.

I seminativi, cioè riso, barbabietola, pomodoro da industria e grano duro, prendono il 14% delle risorse. La grande novità è l’inclusione del grano duro con 59,7 milioni di euro, che dovrebbe generare un pagamento di circa 50 euro/ha. Anche il piano proteine godrà del sostegno: la soia è stata inclusa con 10 milioni di euro e dovrebbe generare un pagamento di circa 95 euro/ha. L’olivicoltura acquisisce un sostegno di 70 milioni di euro.

Altro punto molto importante riguarda gli incentivi al lavoro giovanile: gli aiuti diretti verranno maggiorati del 25% per i primi 5 anni di attività per le aziende condotte da under 40, assicurando il livello massimo di plafond disponibile che ammonta a circa 80 milioni di euro.

E’ stata inoltre allargata la cosiddetta “black list” (cioè l’elenco dei soggetti che non possono accedere agli aiuti pac) escludendo dai contributi banche, società finanziarie, assicurative e immobiliare e la Pubblica Amministrazione (fatta eccezione per gli enti che effettuano formazione e sperimentazione in campo agricolo).

Altro aspetto molto importante riguarda la riduzione obbligatoria dei pagamenti diretti e cioè il “capping”, il tetto sugli aiuti aziendali: si è deciso di applicare una riduzione del 50% dei pagamenti diretti (regressività) sulla parte eccedente i 150.000 euro del pagamento di base e del 100% per la parte eccedente i 500.000 euro. A prima vista sembrerebbero tagli decisamente drastici, ma secondo i tecnici queste sottrazioni verranno molto alleggerite dalla contabilizzazione dei costi del lavoro.

Infine sono previste misure di sostegno per le aree svantaggiate e di montagna, per le quali è stata individuata una diversificazione delle condizioni per essere considerati agricoltori attivi e un premio differenziato per il latte di montagna. Sul piano della convergenza interna si è scelto di considerare l’Italia come una regione unica, in modo da non suddividere il massimale nazionale degli aiuti in quote regionali. Una vittoria della Lombardia e delle Regioni ad alto valore medio dei titoli.

“Agricoltore attivo”, cosa significa?

Altra novità è la definizione del cosiddetto “agricoltore attivo”, cioè l’unico soggetto che ha diritto a ricevere gli aiuti pac. Gli Stati possono decidere di non applicare il requisito di “agricoltore attivo” a chi ha percepito aiuti diretti inferiori a 5.000 euro l’anno precedente.

Sono considerati “agricoltori attivi”, tutti i soggetti che percepiscono pagamenti diretti per meno di:

  • ­ 5.000 euro per le aziende prevalentemente ubicate in montagna e/o zone svantaggiate;
  • ­ 1.250 euro nelle altre zone.

Oltre queste soglie di pagamenti diretti, vengono considerati “agricoltori attivi”, i soggetti che dimostrano uno dei seguenti requisiti:

  • ­ iscrizione all’Inps, come Iap (Imprenditore agricolo professionale), Cd (Coltivatore Diretto), coloni e mezzadri;
  • ­ titolari di partita iva agricola con proventi agricoli oltre i 7.000 euro/anno.

Questa definizione di “agricoltore attivo” è molto ampia include quindi un numero elevato di agricoltori; ma è comunque la prima volta che tra i beneficiari della pac viene fatta una selezione.

Per adesso non si può dire molto altro, i dettagli sulle condizioni di ammissibilità sono ancora da definire, l’accordo politico deve diventare un testo giuridico, ma alcune considerazioni si possono già fare.

Possiamo davvero parlare di “nuova” pac?

Il testo della nuova pac ha letteralmente spaccato in due il mondo agricolo, da una parte ci sono i soddisfatti, che sostengono che le nuove misure (che saranno operative dal 1 gennaio 2015) sono equilibrate e adatte all’agricoltura del nostro Paese, e a dirlo sono soprattutto gli assessori del Nord Italia, mentre dall’altro c’è chi si chiede (e sono in molti) che aiuto concreto possano dare agli imprenditori agricoli 98 euro/ha per il riso (22,6 milioni di euro per 230.000 ettari) o 65 euro/ha per la soia (10 milioni di euro per 150.000 ettari) o 50 euro/ha per il grano duro (59,7 milioni di euro per 1.150.000 ettari).

Molti operatori infatti lamentano che la nuova pac è uno “spezzatino”, un insieme di piccoli aiuti a pioggia che non spingono gli imprenditori agricoli a ragionare in termini di mercato, ma ancora solo di “semino quello mi dà più soldi di pac”.

In effetti gli aiuti a pioggia non risolvono il vero problema della nostra agricoltura, che è la competitività, soprattutto nell’ambito delle produzioni commodities.